Dal Green Deal al Pnrr, il “Do no significant harm” è ormai un criterio vincolante per accedere ai fondi europei. Non più semplice slogan ambientale, ma regola che obbliga innovazione e finanza a dimostrare concretamente di non danneggiare l’ambiente
Un principio sta cambiando le regole: il “Do no significant harm” (Dnsh), ossia “non arrecare un danno significativo”. Non un semplice consiglio etico o un innocuo simbolo ambientalista, il Dnsh è diventato un passaggio obbligato: i tratta, infatti, di un criterio vincolante, introdotto nel Regolamento Tassonomia dell’Unione (Ue 2020/852) in riferimento alle attività economiche eco-compatibili e ora imprescindibile per accedere a strumenti finanziari come il Green Deal europeo e il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr).
Chi oggi opera nel mondo Tech – dalle intelligenze artificiali generative agli algoritmi blockchain, passando per data center e server sempre più potenti – non può più ignorarlo. L’innovazione richiede trasparenza e responsabilità: progettare e gestire le tecnologie senza minacciare l’ambiente è diventato un impegno economico oltre che etico.
Cosa significa esattamente Do no significant harm
Ogni progetto deve dimostrare, già in fase di proposta, che non arrecherà danni significativi a nessuno dei sei obiettivi ambientali stabiliti dall’Ue: mitigazione dei cambiamenti climatici, adattamento, uso sostenibile delle risorse idriche, economia circolare, prevenzione dell’inquinamento, tutela della biodiversità. Questo implica una valutazione ambientale rigorosa e approfondita, che copra l’intero ciclo di vita della tecnologia. Non basta più promettere sostenibilità o compensare gli effetti negativi dopo, serve una garanzia concreta.
Un caso emblematico è quello dell’intelligenza artificiale generativa. Addestrare un solo modello può consumare tonnellate di energia e produrre emissioni massicce di CO₂, senza contare l’impatto dell’hardware: Gpu, server, dispositivi edge. Per rispettare il Dnsh, i progettisti devono essere trasparenti fin dall’inizio e integrare la sostenibilità in ogni fase, dall’ideazione alla realizzazione, senza scappatoie.
Il valore di questo criterio va però oltre la tecnologia: rappresenta un cambio di paradigma nell’approccio dell’Unione Europea agli investimenti pubblici. Iniziative di finanziamento beneficiano chiaramente del suo inserimento strutturale nei piani come il Next Generation Eu e il Pnrr. In Italia, così come nel resto d’Europa, tutte le misure finanziate tramite il Pnrr, per esempio, devono dimostrare conformità al Dnsh come condizione d’accesso imprescindibile.
Gli Stati membri, per ogni intervento proposto, devono utilizzare specifiche liste di controllo: identificare quali obiettivi ambientali richiedono una verifica approfondita, motivare l’assenza di impatti significativi e, se necessario, argomentare l’eventuale impatto trascurabile. In casi semplici, una breve giustificazione può bastare. In situazioni più complesse, serve un’analisi approfondita, in grado di verificare l’assetto idoneo per evitare effetti di lock-in o dipendenze ambientali pericolose.
Questo sistema promuove non solo una transizione verde ma anche una nuova qualità nei progetti pubblici: più responsabili, più misurabili e orientati davvero al futuro. Il Dnsh, insomma, ha il potenziale per diventare uno standard dell’innovazione superando la logica del greenwashing o delle valutazioni fittizie, spostando il discorso dal “cosa prometto” al “cosa realizzo realmente”.
Il vincolo normativo rappresenta la consapevolezza che la vera sostenibilità non si gioca sul marketing o su slogan travestiti da intenti nobili ma sulle scelte concrete che guidano tecnologia e finanza. Attraverso il Dnsh, oggi, l’Europa chiede che ogni innovazione sia al tempo stesso potente e rispettosa.