Danimarca contro le Big Tech: verifica dell’età online, procedura obbligatoria

Caroline Stage Olsen, ministra per la digitalizzazione danese, sostiene che le grandi piattaforme possono facilmente introdurre la verifica dell’età per tutelare i minori. Cinque Paesi Ue stanno già sviluppando un’app nazionale per dimostrare la maggiore età senza rinunciare alla privacy

La protezione dei minori online è tornata al centro del dibattito politico europeo. A rilanciarlo, questa volta, è la Danimarca, con la ministra per la digitalizzazione Caroline Stage Olsen, che ha preso una posizione netta contro i giganti del Tech, accusandoli di fare resistenza su un punto cruciale: l’introduzione di sistemi efficaci di verifica dell’età. Secondo la ministra, non ci sarebbero motivi tecnici per cui le grandi piattaforme non possano adottare strumenti che garantiscano l’accesso ai contenuti digitali solo a chi ha davvero l’età prevista dalla legge. La tecnologia esiste già e, anzi, alcuni Paesi stanno dimostrando che si può conciliare tutela dei più piccoli e protezione della privacy degli utenti adulti.

Il tema è tutt’altro che marginale. Da anni, associazioni, governi e istituzioni europee denunciano i rischi crescenti legati all’esposizione dei minori a contenuti inappropriati, dal porno alla violenza, fino a fenomeni di bullismo e sfruttamento. Le stesse piattaforme, dal canto loro, hanno risposto con strumenti spesso inefficaci: flag generici, controlli blandi sull’età inserita al momento della registrazione o sistemi che possono essere facilmente aggirati. Il risultato è che milioni di adolescenti e bambini finiscono quotidianamente in spazi digitali che non sono stati pensati per loro, con conseguenze non sempre prevedibili sul piano psicologico, sociale ed educativo.

Olsen  non ha usato mezzi termini: “Implementare una verifica dell’età non è un problema, i giganti del Tech hanno tutti i mezzi per farlo. Se non intervengono è perché manca la volontà politica ed economica”. La ministra  ha ricordato come la Danimarca – con Francia, Grecia, Italia e Spagna – stia già sperimentando un’app dedicata proprio a questo scopo. Lo strumento permette agli utenti di dimostrare la propria età senza dovere condividere dati sensibili, come documenti d’identità o informazioni personali, basandosi su meccanismi certificati e controllati dal settore pubblico. Un modello, insomma, che punta a bilanciare due esigenze: proteggere i minori e allo stesso tempo non creare un sistema di sorveglianza digitale che finisca per violare la riservatezza degli adulti.

La posizione danese si inserisce in un contesto più ampio. A livello europeo, infatti, la protezione dei minori è diventata una priorità nell’Agenda Digitale, al pari della lotta alla disinformazione e della regolazione dell’intelligenza artificiale. La Commissione Europea spinge da tempo per regole comuni che impongano alle piattaforme responsabilità più chiare, anche con il Digital Services Act (Dsa), che prevede obblighi di trasparenza e di moderazione più stringenti. Tuttavia, quando si arriva alla questione della verifica dell’età, la strada si fa in salita: le aziende Tech continuano a sollevare dubbi, parlando di complessità tecniche, costi di implementazione e possibili violazioni della privacy. Ma per molti governi, compreso quello danese, queste giustificazioni non reggono più.

Il nodo centrale è culturale oltre che tecnologico. Fino ad oggi, la responsabilità di proteggere i minori online è stata scaricata soprattutto sulle famiglie, invitate a vigilare e a impostare filtri. Ma in un mondo digitale globale, dove i contenuti circolano senza confini e con velocità impressionante, i controlli domestici non bastano. Servono regole comuni, che vincolino direttamente i fornitori di servizi digitali. La sfida è, quindi, politica: costringere le piattaforme a mettere la sicurezza dei minori al centro delle proprie priorità, senza più delegare tutto alla buona volontà dei singoli.

L’esperienza dei cinque Paesi europei, compresa l’Italia, che stanno sperimentando sistemi di verifica nazionale potrebbe aprire la strada a una soluzione continentale. Se questi progetti dimostreranno di funzionare senza ledere i diritti fondamentali degli utenti, potrebbero diventare un modello replicabile. La stessa Olsen ha sottolineato che la tecnologia non manca: ciò che serve è un cambio di atteggiamento da parte delle Big Tech, che spesso si mostrano collaborative solo di fronte a pesanti sanzioni o vincoli normativi. È anche una questione di equilibrio di potere: finché i governi non dimostreranno di potere imporre regole chiare, le piattaforme continueranno a privilegiare la massimizzazione dei profitti, anche a costo di esporre i minori a rischi.

La battaglia aperta dalla ministra danese, dunque, va oltre la Danimarca e investe l’intera Unione europea. Si tratta di ridefinire i confini della responsabilità digitale e di ribadire che la tutela dei più vulnerabili non è negoziabile. La posta in gioco è alta: non solo la sicurezza dei ragazzi online, ma anche la credibilità stessa dei governi e delle istituzioni di fronte a cittadini sempre più preoccupati dall’egemonia delle grandi piattaforme. In gioco, infine, c’è la possibilità di dimostrare che innovazione e diritti possono coesistere, a patto che la politica sappia imporsi con coraggio.

Redazione

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