Influencer in Italia: Fisco in allerta le regole cambiano

Con l’attività social che genera ricavi sempre più consistenti, gli influencer in Italia si trovano sotto i riflettori del Fisco. Aprire partita Iva, scegliere il regime giusto e dichiarare i compensi non sono più opzioni facoltative

Nel panorama dei social media, gli influencer sono diventati protagonisti di un nuovo mercato: raccontano stili di vita, promuovono prodotti e creano comunità digitali. Ma dietro le storie e i post sponsorizzati, si cela un universo tributario complesso che richiede attenzione e trasparenza. In Italia l’attività degli influencer non può più essere considerata hobby, ma è ora riconosciuta come una vera e propria professione, classificata dal codice Ateco e soggetta a obblighi fiscali precisi. 

La tassazione degli influencer è complessa perché coinvolge vari aspetti: la natura internazionale dell’attività, la moltitudine di entrate possibili e la difficoltà di attribuire con precisione la residenza fiscale o la categoria di reddito. In generale, chi svolge attività abituale online con compensi superiori a 5.000 euro/anno è tenuto ad aprire una partita Iva. Se il fatturato annuo resta al di sotto degli 85.000 euro, l’influencer può avvalersi del regime forfettario (aliquota del 5% o 15%). Superato questo limite si entra nel regime ordinario con aliquote Irpef dal 23% al 43% e obblighi contributivi presso la Gestione Separata Inps

Un tema centrale è la qualificazione del reddito percepito: se l’attività si fonda su strumenti organizzativi e mezzi produttivi, si configura come reddito d’impresa e richiede iscrizione alla Camera di Commercio e iscrizione Ivs commercianti. Se, invece, si basa prevalentemente sulle capacità personali e sull’autopromozione, si può inquadrare come lavoro autonomo. 

Le conseguenze in caso di inadempienze sono tutt’altro che marginali. Il fisco italiano applica sanzioni fino al 120% dell’imposta dovuta per omessa dichiarazione e, qualora l’imposta dovuta superi i 50.000 euro, scatta la denuncia penale. Considerando che gli influencer operano online con ampia visibilità, anche apparenti discrepanze tra tenore di vita e redditi dichiarati possono attirare l’attenzione dell’azione amministrativa. 

A complicare ulteriormente la situazione concorre la direttiva europea Dac7 che impone alle piattaforme digitali di comunicare all’Agenzia delle Entrate i compensi erogati ai creator: la soglia è fissata a 2.000 euro di compensi o 30 operazioni annue. Questo meccanismo rende più facile per il Fisco incrociare dati, individuare dettagli omessi e promuovere accertamenti mirati. 

In questo contesto, ogni influencer, dai micro-creator alle celebrità con milioni di follower, deve costruire una strategia fiscale consapevole. L’apertura della partita Iva è una decisione da considerare non solo in termini economici, ma anche in termini di conseguenze giuridiche e contributive. Il regime forfettario appare spesso la scelta più agevole per chi inizia ma, anche in questo caso, occorre verificare di poter accedere davvero a quella modalità e rispettare i limiti previsti.

Infine, è importante evidenziare che le entrate non si limitano agli incassi in denaro: prodotti ricevuti gratuitamente in cambio di visibilità, viaggi sponsorizzati, servizi offerti dai brand, tutto deve essere considerato reddito imponibile se risponde a criteri funzionali all’attività di pubblicità o influencer marketing. Il legislatore e la giurisprudenza richiamano la distinzione tra una semplice testimonial occasionale e un’attività organizzata di promozione continuativa: la differenza può determinare il tipo di inquadramento e gli obblighi contributivi correlati. 

Per gli influencer italiani, dunque, la gestione trasparente degli aspetti fiscali non è un optional. Il successo sui social genera visibilità e potenziale economico, ma resta legato a logiche professionali e a obblighi normativi che richiedono cura e consapevolezza. In un mondo digitale che evolve in fretta, anche i contenuti devono essere ben fatturati.

Redazione

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