Web tax europea, se ne parla ancora

La web tax comunitaria mira a imporre un prelievo fiscale sulle multinazionali che operano prevalentemente nel settore digitale. Risulta però assente nel bilancio pluriennale Ue 2028–2034

La web tax, proposta a livello comunitario, mira a imporre un prelievo fiscale sulle multinazionali che operano prevalentemente nel settore digitale. L’intento principale di questa misura è assicurare che le maggiori aziende tecnologiche, come Google, Amazon, Apple e Facebook, versino una porzione più equa di tributi all’interno dei Paesi in cui i loro profitti sono effettivamente generati, anche in assenza di una sede fisica. La tendenza comune, infatti, è quella di delocalizzare i propri ricavi verso giurisdizioni con regimi fiscali più vantaggiosi, riducendo così l’ammontare o persino eludendo il pagamento delle imposte dovute nei mercati in cui svolgono le proprie attività.

Assente nel bilancio pluriennale Ue 2028–2034, la web tax non è mai menzionata da Donald Trump e Ursula von der Leyen durante i recenti colloqui relativi ai dazi, restando dunque ancora un punto di scontro tra Unione europea e Stati Uniti

Web tax, per una parità contributiva

Secondo i sostenitori di questa disposizione, un sistema fiscale più equo bilancerebbe in parte l’enorme surplus a livello di servizi dematerializzati e digitali, pari a 108,6 miliardi di dollari di cui gode gli Stati Uniti nei confronti dell’Europa. L’obiettivo è che ogni azienda, a prescindere dal proprio ambito operativo, contribuisca in modo appropriato al gettito fiscale pubblico: in questo modo verrebbe sancita una maggiore parità contributiva tra tutte le imprese, rendendo il quadro economico più bilanciato e sostenibile per tutti i soggetti coinvolti.

Nonostante sia un problema sentito da diversi Paesi, l’assenza della tassa dal bilancio pluriennale è legata al fatto che la norma dovrebbe avere l’approvazione di tutti gli Stati europei, aspetto assolutamente non scontato e che, anzi, si prefigura come un obiettivo difficile da raggiungere.

Si parla di dazi, ma non di web tax

Di web tax si continua a parlare alla luce dell’accordo sui dazi raggiunto in Scozia tra la presidente della Commissione europea e il presidente americano Donald Trump. La Commissione ha affermato, in relazione alla web tax che: “non cambiamo le nostre regole e il nostro diritto di regolamentare autonomamente nello spazio digitale”. Una visione confermata anche dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: “La web tax non è contenuta negli accordi che hanno fatto in Scozia, già quando è stata introdotta ha causato un po’ di contenzioso, noi valuteremo, abbiamo delle ipotesi anche sul tavolo da proporre naturalmente è una questione che non è definita e non è stata definita in sede europea perché l’Italia ce l’ha, altri Paesi in Europa no”. Non è un mistero, comunque, che il presidente Trump osteggi questa norma, sostenendo che sia fortemente protezionistica e di ostacolo alle Big Tech statunitensi.

La web tax dell’Italia

In Italia è presente una web tax: si tratta della Digital Service Tax, introdotta nel 2020. La DST rappresenta un prelievo fiscale sui proventi generati dalla fornitura di servizi digitali, quali la pubblicità online, le attività connesse alle piattaforme di ecommerce e lo streaming. Introdotta dall’articolo 1 della Legge 145/2018, essa prevede un’aliquota del 3%. L’introduzione di questa imposta mira ad allinearsi con le iniziative legislative internazionali, in particolare quelle promosse dall’OCSE, con l’obiettivo di prevenire l’elusione fiscale da parte delle grandi aziende globali che traggono profitti da servizi digitali nei Paesi in cui operano. L’ammontare della Digital Service Tax viene calcolato applicando l’aliquota del 3% ai ricavi imponibili. Per determinarli, si considerano i corrispettivi incassati durante l’anno fiscale: come specificato al comma 39 dell’articolo 1 della legge di bilancio 2019, i ricavi imponibili sono calcolati al lordo dei costi sostenuti per l’erogazione dei servizi digitali e al netto dell’IVA e di altre imposte indirette

Nel 2024 il gettito è stato di 455 milioni (l’85% versato da multinazionali Usa). Una cifra davvero ridotta se si considera che, secondo un report della Cgia di Mestre, le Pmi italiane versano 24,6 miliardi di euro in tasse all’anno.

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