Indagine Agcom su Shein: si ipotizza pubblicità ingannevole 

Secondo l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, alcuni messaggi promozionali della versione italiana del sito di Shein sarebbero da considerarsi ingannevoli. Al centro dell’indagine le comunicazioni relative alla sostenibilità ambientale dei capi di abbigliamento

Il colosso del fast fashion cinese Shein è di nuovo sotto i riflettori. Nuovi provvedimenti sono allo studio per la piattaforma e-commerce che nei mesi scorsi è  stata inserita tra le big tech cui è richiesto di rispettare il Digital Services Act e inclusa tra i soggetti che saranno coinvolti nell’applicazione dii dazi doganali in deroga al regolamento de minimis.

L’Agcm ha, infatti, avviato un’istruttoria nei confronti di Infinite Styles Services CO. Limited, con sede a Dublino, che gestisce la versione italiana del sito cinese, per la possibile falsità di alcune affermazioni riferite alla sostenibilità ambientale contenute nelle sezioni “#SHEINTHEKNOW”, “evoluSHEIN” e “Responsabilità sociale”.

Secondo l’Autorità, a fronte della crescente sensibilità dei consumatori per l’impatto delle loro scelte d’acquisto sull’ambiente, la società starebbe tentando di adottare una strategia comunicativa specifica, veicolando un’immagine di sostenibilità produttiva e commerciale dei propri capi d’abbigliamento. Verrebbero utilizzate frasi e concetti, relativi alle questioni ambientali, generici, vaghi, confusi e fuorvianti soprattutto in tema di circolarità di qualità dei prodotti e del loro consumo responsabile. 

In particolare, a proposito della collezione di abbigliamento “evoluSHEIN”, dichiarata “sostenibile” dalla società, alcune informazioni fornite sul sito potrebbero indurre in errore i consumatori riguardo alla quantità di fibre green utilizzata, omettendo inoltre l’informazione riguardante la non riciclabilità dei capi d’abbigliamento.

Infinite Styles Services CO. Limited enfatizzerebbe, inoltre, in maniera generica l’impegno nell’ambito del processo di decarbonizzazione delle proprie attività, mentre gli obiettivi indicati sul sito web apparirebbero contraddetti dal consistente incremento delle emissioni di gas serra indicato nei rapporti sulla sostenibilità di Shein per gli anni 2022 e 2023.Nell’avvio istruttorio, l’Agcm considera anche l’impatto ambientale del settore di attività di Shein, ovvero quello del cosiddetto fast o super fast fashion, di per sé considerato come votato al consumismo e basato sull’offerta di abbigliamento di scarsa qualità e a basso costo, destinata presto a diventare scarto.

Shein e il fast fashion, rapporto complicato

Già nel 2022, un rapporto di Bloomberg riferiva che le magliette di cotone vendute da Shein provengono dal lavoro forzato della minoranza Uiguri dello Xinjiang, regione al nord-ovest della Cina, tra i maggiori produttori di cotone al mondo, in cui la minoranza musulmana è da anni perseguitata e oppressa dal governo centrale.

Inoltre, come sostenuto dal Rapporto WWF-National Geographic, per produrre una t-shirt sono necessari in media 2.700 litri d’acqua e, durante le varie fasi della lavorazione, vengono applicate sostanze chimiche spesso a livelli nettamente superiori rispetto a quelli previsti dalle normative europee, con possibili danni non solo per l’ambiente ma anche per la salute, poiché vengono assorbite dalla pelle. Considerando, invece, i prodotti di Shein in termini di qualità e durevolezza, ogni anno, a livello globale, vengono generati 92 milioni di tonnellate di rifiuti tessili, di cui solo il 15% viene riciclato, che comprendono gli scarti dei prodotti del fast fashion.

Più veloce è il ciclo di consumo, più pesante è l’impatto ambientale: la moda, in generale, è responsabile del 10% delle emissioni globali di carbonio. L’intera filiera di produzione del fast fashion, compresa nella percentuale, è intensiva, e questo vale sia in termini di energia, sia in termini di risorse consumate.

Redazione

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