Sovranità digitale, l’Europa dipende dal cloud Usa 

Con tre aziende statunitensi che controllano circa il 70% del cloud europeo, lʼUnione rischia una vulnerabilità critica. Il regolatore avverte: la sovranità digitale richiede infrastrutture autonome, standard di sicurezza più severi e una strategia comune urgente

Immaginiamo che un governo decida di staccare la spina della Rete. Non solo un black-out momentaneo, ma l’interruzione di servizi cloud, email, social network, motori di ricerca, persino sistemi sanitari che dipendono dal digitale. Un quadro da incubo? Non più di tanto, se si valuta il grado di dipendenza digitale dell’Europa e la fragilità della sua sovranità tecnologica: il mercato del cloud nell’Unione è, infatti, per il 70% in mano alle big tech americane Amazon Web Services (AWS), Google e Microsoft

La portata della questione va ben oltre la mera disponibilità dei servizi: riguarda il controllo dei dati, la continuità operativa delle aziende (compromessa, a fine ottobre, da un down di AWS che ha comportato, prima negli Usa e poi in tutto il mondo, l’inaccessibilità a servizi e siti per ore), la protezione delle infrastrutture critiche e la possibilità concreta che un’interferenza – politica o tecnica – possa paralizzare interi settori. Un ordine esecutivo del governo Usa, rivolto alle big tech americane, potrebbe scollegare l’Europa dal proprio ecosistema digitale. 

Ue e cloud sovrano

In un mondo in cui produzione, finanza, salute e trasporti sono sempre più interconnessi, questa possibilità è tutt’altro che fantastica. In risposta, l’Unione Europea ha lanciato una battaglia per costruire un “cloud sovrano”, che permetta di trasferire la gestione dei dati e delle infrastrutture in mano a operatori europei. Ma la quota di mercato servita dai provider europei è pari solo al 15%, e nell’ultimo decennio questa percentuale si è quasi dimezzata. 
Secondo un think tank, servirebbero investimenti per circa 5.000 miliardi di euro nei prossimi dieci anni per rendere reale questa autonomia. La sicurezza digitale è al centro della discussione. Non è solo un problema tecnico: se i server, le Reti e i servizi funzionano fuori dal controllo europeo, la gestione dei dati diventa terra di nessuno, soggetta a normative esterne e al potere di altre nazioni. Il Clarifying Lawful Overseas Use of Data Act (conosciuto come Cloud Act) americano lo prevede esplicitamente: anche i dati archiviati all’estero dalle aziende Usa possono essere soggetti a richieste da parte del governo statunitense. 

In pratica, l’Europa potrebbe trovarsi dipendente – tecnicamente e politicamente – da Paesi terzi, con tutte le conseguenze in termini di privacy e controllo. Allo stesso tempo, alcune aziende europee, come Proton, OVHcloud e Scaleway, stanno provando a costruire alternative ma la sfida è enorme: servono infrastrutture su scala continentale, ingenti investimenti, competenze tecniche e un approccio coordinato. Spesso queste soluzioni, seppur valide, restano marginali e non ancora in grado di competere davvero con i colossi americani. 

Sovranità digitale, leva di competitività internazionale

Per l’Italia e l’Europa la posta in gioco è alta: non si tratta solo di offrire una scelta tecnologica alternativa, ma di affermare una strategia che preservi il diritto digitale dei cittadini, la resilienza economica, la difesa delle infrastrutture e la capacità di innovare in autonomia. In un mondo in cui la leadership tecnologica si concentra sempre più in poche regioni, la sovranità digitale diventa una leva di competitività e libertà.

Il tema sembra essere, ora, “chi controlla davvero il nostro futuro digitale”. Fino a quando l’Europa non avrà infrastrutture, normative e modelli operativi che garantiscano autonomia reale, la dipendenza resterà una vulnerabilità da cui dipende gran parte del sistema produttivo e civile.

Redazione

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