Dopo l’approvazione del Digital Markets Act e l’annuncio delle sei multinazionali “gatekeeper”, i commenti da più parti non si sono fatti attendere
L’affermazione del commissario francese al mercato interno e servizi Thierry Breton è stata netta ed esplicita nell’annuncio dei primi provvedimenti legati al Digital Markets Act lo scorso 6 settembre: “Nessuna delle grandi piattaforme potrà più comportarsi come se fosse troppo grande per doversi preoccupare”. È lui uno dei principali artefici a livello europeo delle novità introdotte con il Digital Markets Act e qualche giorno prima del Digital Services Act. Il primo per definire obblighi di trasparenza e correttezza, il secondo per limitare online illeciti, fake news, violazioni della privacy e tutelare i minori.
Dalla Commissione è arrivato l’annuncio dei nomi delle sei multinazionali designate come “gatekeeper” ovvero le società o piattaforme digitali che ad oggi detengono il monopolio di ambiti (cosiddetti walled garden) di dati e informazioni a forte rilevanza economica. Le grandi piattaforme che nei prossimi sei mesi dovranno adeguarsi ai nuovi obblighi del DMA sono Alphabet, Amazon, Apple, ByteDance, Meta e Microsoft. La selezione è stata fatta prendendo in considerazione società che hanno una posizione dominate perché superano i 45 milioni di utenti attivi mensili e hanno una capitalizzazione di oltre 75 miliardi oltre a un fatturato annuo maggiore di 7,5 miliardi.
In particolare, i 22 “servizi centrali” che finiscono sotto i riflettori sono social network (TikTok, Facebook, Instagram e Linkedin), grandi piattaforme di intermediazione (Google Maps, Google Play, Google Shopping, Amazon Marketplace, App Store, Meta Marketplace), di pubblicità (Google, Amazon e Meta), ma anche i più usati servizi di comunicazione interpersonale o ‘Niics’ (Whatsapp e Messenger), scambio video (Youtube), o servizi browser (Chrome e Safari) e di ricerca (Google Search).
Ciò che le Big Tech dovranno fare subito è nominare un responsabile di conformità, a diretto riporto del consiglio societario, che dovrà informare immediatamente la Commissione europea di qualsiasi fusione o acquisizione abbia in programma l’azienda. Le sanzioni previste dal DMA sono state definite in una quota fino al 10% del fatturato globale, oltre il 20% per i recidivi.
Tra le richieste alle piattaforme, una delle più rilevanti è lo studio di sistemi di interoperabilità per far funzionare i servizi anche con quelli di altre società, una maggior scelta su software e servizi installati, ma anche meccanismi di trasparenza sulla pubblicità per l’e-commerce, o sugli algoritmi di raccomandazione e indicizzazione. Un altro importante ambito è quello dei dati che dovranno essere accessibili anche alle controparti.
In Italia più voci si sono espresse sull’introduzione del DMA
“La portata del provvedimento è enorme, determinerà un importante cambiamento nel panorama digitale con ripercussioni che riteniamo positive anche sull’e-commerce”, afferma Andrea Spedale, presidente di Aicel – Associazione italiana commercio elettronico. – Più trasparenza e libera concorrenza rispetto alle Big Tech costituiscono una vera opportunità di crescita per i piccoli e medi operatori del mercato. Favorire l’equilibrio del mercato significa tutelare al massimo i consumatori europei, creando un sistema più favorevole alla concorrenza da parte delle aziende di minori dimensioni”.
Di diverso tenore il commento di Domenico Colella, avvocato e partner Orsingher Ortu-Avvocati Associati, che su wired.it dice riferendosi alle Big Tech: “Gli obblighi normativi, e la conseguente attività di compliance, si traducono in costi tali che solo le grandi piattaforme esistenti sono in grado di sostenere: così i mercati diventano cristallizzati, anziché contendibili. Peraltro, di fronte all’aumento dei costi, le grandi piattaforme potrebbero essere costrette a ripensare il proprio modello di business e non si può escludere che, nell’ambito di un radicale cambio di strategia, i loro servizi diventino a pagamento”. L’intervento dell’avv. Colella prosegue, sottolineando poi un altro aspetto controverso del DMA che riguarda un cambio di paradigma significativo nei principi che informano il diritto della concorrenza tradizionale. “Solitamente, mantenere una posizione dominante sul mercato non è illecito di per sé; anzi, sono noti – soprattutto nell’industria digitale, grazie al c.d. network effect – casi in cui la presenza di un soggetto dominante è addirittura vantaggiosa per i consumatori. Pertanto, solo l’abuso di tale posizione viene sanzionato. Il Dma, invece, dispone che alcune condotte siano illecite in quanto tali, a prescindere dalla verifica in concreto degli effetti distorsivi per i consumatori. Si tratta, ancora una volta, di un approccio rigido ai fenomeni che si sviluppano sul mercato”.
Intanto non si sono fatte attendere le prime risposte di alcune delle dirette interessate. Apple commenta così: “Rimaniamo molto preoccupati per i rischi per la privacy e la sicurezza dei dati che il Dma comporta per i nostri utenti. Ci concentreremo su come mitigare questi impatti e continuare a fornire i migliori prodotti e servizi ai nostri clienti europei”. Secondo quanto riportato da Milanofinanza.it, ByteDance si è detta “fondamentalmente in disaccordo” sulla scelta di inserire TikTok tra le piattaforme che ricadono sotto le regole del Dma, perché è stato in grado di aumentare la concorrenza nel mondo dei social network. TikTok ritiene quindi controproducente la scelta della Commissione europea di includerlo nella lista di giganti della tecnologia, in quanto si considera «un nuovo concorrente» in questo mercato che produce decine di miliardi di dollari. «Siamo estremamente delusi dal fatto che prima di questa decisione non sia stato condotto alcuno studio di mercato», ha commentato TikTok, riservandosi la possibilità di rispondere per vie legali.
Ministro Urso: attenzione a dinamiche lesive della concorrenza
Sulla questione interviene anche il Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso: “L’evoluzione digitale e la rete sono leve indispensabili allo sviluppo, ma devono essere governate dalle istituzioni, soprattutto a fronte di fenomeni che possono avere conseguenze distorsive per tutti: imprese, cittadini e pubblica amministrazione”. Prendendo parte al convegno organizzato dall’Antitrust “Concorrenza, mercati digitali, investimenti. Il ruolo guida dell’Europa”, riferendosi alle big tech Urso ha sottolineato che “il ruolo di queste piattaforme ha posto le Istituzioni nella necessità di adottare soluzioni in grado di garantire un elevato livello di competitività e contendibilità del mercato, in modo da scongiurare possibili dinamiche lesive della concorrenza e parimenti per tutelare gli utenti, siano essi business o finali”.