La decisione di riformare la struttura societaria e la partnership miliardaria con Aws ridisegnano il futuro di OpenAI. Una mossa che fonde strategia industriale e visione etica, segnando un punto di svolta nel rapporto tra ricerca, potere economico e governance tecnologica
OpenAI cambia pelle. Nata come organizzazione no profit nel 2015, con l’ambizione di sviluppare un’intelligenza artificiale “per il bene dell’umanità”, oggi la società fondata da Sam Altman si trova al centro di una trasformazione strutturale che la proietta definitivamente nel mondo delle Big Tech. Il nuovo modello, approvato a fine ottobre, prevede il ritorno a una governance a prevalente controllo pubblico ma con una struttura ibrida: la missione etica resta formalmente al centro, mentre l’operatività e i ricavi si muovono ormai secondo logiche di mercato.
A dieci anni dalla fondazione, l’evoluzione era quasi inevitabile. OpenAI ha raggiunto un livello di influenza tecnologica e finanziaria tale da non poter più convivere con i vincoli della sua fondazione. ChatGPT, DALL·E e gli altri modelli generativi hanno ridefinito la produttività, la comunicazione e l’istruzione, creando un ecosistema economico da miliardi di dollari. Gli investitori – da Microsoft ad altri fondi globali – hanno spinto per una maggiore chiarezza societaria, mentre gli osservatori internazionali hanno sollecitato maggiore trasparenza nella gestione dei dati e delle decisioni strategiche.
La riforma arriva in parallelo a un accordo di portata storica: una partnership con Amazon Web Services, annunciata il 3 novembre, del valore stimato di 38 miliardi di dollari in cinque anni. L’intesa consentirà a OpenAI di sfruttare le infrastrutture cloud di Aws per addestrare e distribuire i propri modelli su larga scala. Per Amazon, è un ingresso diretto in un segmento dominato finora da Microsoft e Google; per OpenAI, un modo per diversificare la propria dipendenza tecnologica e ridurre il rischio di concentrazione su un unico fornitore.
Per Amazon, l’accordo con OpenAI rappresenta anche una mossa strategica nel confronto con Microsoft e Anthropic, i due principali rivali nel settore dell’intelligenza artificiale. Aws ha già avviato collaborazioni con startup emergenti per integrare modelli linguistici nei propri servizi cloud, ma la partnership con OpenAI le permette di rientrare nella competizione di vertice, offrendo ai clienti soluzioni basate su Gpt integrate con l’ecosistema Amazon Bedrock e Alexa.
La collaborazione ha anche un significato simbolico: sancisce la convergenza tra i due mondi che finora si erano osservati da lontano, quello dell’Ai generativa e quello del cloud hyperscale, ovvero infrastrutture di cloud computing su scala massiva. Le piattaforme di Amazon diventeranno terreno di sperimentazione per modelli linguistici e soluzioni integrate, con applicazioni immediate nel retail, nella logistica e nei servizi digitali. Il passo segna, inoltre, un riavvicinamento tra due filosofie d’impresa: la spinta all’innovazione “open” e la potenza infrastrutturale del colosso di Seattle.
In parallelo, OpenAI lavora per ridefinire la propria governance. La nuova struttura, descritta come “ibrida e trasparente”, mira a garantire un equilibrio tra controllo etico e autonomia imprenditoriale. Il consiglio direttivo verrà ampliato, includendo figure indipendenti provenienti dal mondo accademico e della società civile, con l’obiettivo di evitare i conflitti interni che avevano portato, nel 2023, alla temporanea estromissione del co-fondatore Sam Altman. L’obiettivo dichiarato è conciliare la missione originaria, ovvero assicurare che l’intelligenza artificiale giovi all’umanità, con un modello economico sostenibile.
Le implicazioni economiche della doppia svolta sono notevoli. Secondo le stime di CB Insights, il mercato globale dell’intelligenza artificiale generativa supererà i 150 miliardi di dollari entro il 2030, e OpenAI rappresenta già uno dei principali motori di questo sviluppo. L’accordo con Amazon potrebbe moltiplicare la capacità di calcolo disponibile per l’addestramento dei modelli fino al 40%, riducendo tempi e costi di elaborazione. In termini occupazionali, l’intesa avrà effetti indiretti anche sull’indotto tecnologico, dai data center alle startup che integrano API di ChatGPT nelle proprie piattaforme.
Il cambiamento, tuttavia, solleva interrogativi sulla natura stessa dell’intelligenza artificiale “etica”. Se la missione non profit rappresentava un argine alla corsa commerciale, la nuova configurazione rischia di accentuare il peso degli interessi industriali. Le istituzioni europee e statunitensi osservano con attenzione, consapevoli che l’equilibrio tra innovazione e tutela pubblica dipenderà dalla trasparenza dei processi decisionali e dall’uso responsabile dei dati.
L’intelligenza artificiale, da promessa tecnologica, diventa un pilastro economico e politico, capace di ridefinire equilibri industriali e modelli di potere. E la sfida più grande, oggi, non è più solo costruire sistemi intelligenti, ma capire come governarli.
