Il Consiglio di Stato blocca una norma sull’Iva ecommerce che imponeva una garanzia anti-frode per venditori cinesi su Amazon. Decisione che sospende gli effetti della riforma fiscale fino alla definizione del contenzioso
Il Consiglio di Stato ha ordinato il blocco immediato dell’obbligo di cauzione anti-frode, una misura introdotta con la recente riforma fiscale e destinata a penalizzare in modo rilevante metà dei venditori cinesi operanti su Amazon.
L’ordinanza 2323/2025 della VI Sezione, pubblicata il 27 giugno, accoglie il ricorso presentato da una quindicina di aziende cinesi. Il punto centrale è il Decreto Ministeriale dello scorso 4 dicembre. Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale nel dicembre 2024, il decreto ha introdotto i criteri e le modalità per il rilascio di una garanzia patrimoniale necessaria a includere i soggetti passivi (inclusi i venditori online non stabiliti nell’Ue) nella banca dati Vies per operazioni intracomunitarie. In concreto, la norma imponeva, a chi operava attraverso rappresentanti fiscali, di prestare una cauzione – sotto forma di titoli di Stato, fideiussione bancaria o polizza assicurativa – del valore minimo di 50.000 euro, valida per almeno 36 mesi, pena l’esclusione dalle transazioni Iva valide per la Ue. L’obiettivo dichiarato era contrastare l’evasione fiscale e aumentare la sicurezza nel commercio elettronico transfrontaliero, che prevedeva, come misura di contrasto all’evasione dell’Iva online, l’introduzione di una garanzia economica preventiva che doveva essere versata dai venditori in ingresso nell’ecosistema digitale italiano. Uno strumento che, nella prassi, avrebbe allungato i tempi e aumentato i costi, spingendo molti operatori a rivedere la loro presenza su piattaforme come Amazon.
Fin dall’inizio, la nuova normativa aveva suscitato critiche e timori: la sua natura emergenziale, la complessità burocratica e l’impatto economico prevedibile sulle aziende straniere avevano messo in luce il rischio di una riforma impulsiva e poco coordinata con la realtà delle dinamiche digitali.
Amazon e la normativa d’emergenza
Con la decisione del Consiglio di Stato, lo schema normativo resta congelato in attesa di valutazioni più approfondite sul merito, sull’equità e sull’applicazione selettiva di misure fiscali che rischiano di discriminare operatori esteri. Il giudice amministrativo ha indicato che la norma manca di adeguate tutele per garantire che non si trasformi in un ostacolo ingiustificato al libero esercizio dell’attività economica, soprattutto in un settore innovativo come l’ecommerce.
Il contesto è quello di un mercato nazionale ed europeo in tumulto: tra nuovi meccanismi di pagamento dell’Iva per venditori extra-Ue, espansione dei regimi Oss e Ioss, controlli sui marketplace e rafforzamento delle garanzie fiscali, l’Italia si trova oggi sospesa tra l’urgenza di contrastare l’evasione e la necessità di non smontare il fragile equilibrio di mercato già precario per le piccole imprese.
Da un lato, Bruxelles spinge per regole più chiare e responsabilità diffuse per chi opera online. Dall’altro, l’Italia era chiamata a muoversi rapidamente, anche per allinearsi con gli strumenti Ue, ma ha finito per adottare una misura rivelatasi troppo immediata e priva del necessario inquadramento di contesto.
Per i venditori cinesi – coinvolti nell’origine del ricorso – la sospensione della cauzione rappresenta un sollievo, ma non ancora una vittoria definitiva. La battaglia giudiziaria continuerà ad aprire spazi di riflessione su come conciliare emergenze fiscali, equità competitiva e libertà di impresa. Le sentenze future determineranno se questo episodio sarà ricordato come un inciampo nel percorso di evoluzione normativa o un monito a procedere con prudenza e condivisione.