La eIDAS 2 entra nella fase “business”: la European Digital Identity Wallet Regulation prevede un portafoglio digitale dedicato alle imprese per semplificare licenze, certificazioni e adempimenti. Ma standard, tecnologie e sicurezza restano sfide aperte
L’Europa si spinge oltre: non più solo identità digitale per i cittadini ma anche per le imprese. La Commissione europea ha annunciato che nella sua prossima fase di semplificazione burocratica verrà introdotto un wallet digitale dedicato alle aziende, che consentirà alle imprese di interagire con le amministrazioni, aggiornare sedi legali, fornire certificazioni e gestire deleghe tramite un’unica piattaforma digitale europea.
Il progetto, che fa parte del pacchetto “omnibus” atteso il 19 novembre, vuole ridurre la frammentazione normativa tra i 27 Stati membri e facilitare le start-up che operano in più Paesi. Il wallet sarà un portale “una volta sola”, collegato a oltre 80.000 enti pubblici in tutta l’Ue, secondo i dati della Commissione.
Wallet, strumento digitale unico per le aziende
In concreto, un’impresa potrà utilizzare questo wallet per notificare un cambio di ragione sociale, aggiornare le licenze operative nei diversi Paesi, scaricare attestati, ottenere visure uniformi e interagire con i bandi pubblici senza dover ripetere gli stessi adempimenti ogni volta.
Si entra, dunque, in una nuova fase della digitalizzazione: mentre finora l’identità digitale aziendale era frammentata per nazione, la soluzione europea punta a una vera identità giuridica transnazionale. Questo consentirà anche di migliorare i processi B2B e B2G (business-to-government), snellendo workflow complessi e riducendo tempi e costi.
Tuttavia, la strada per la piena adozione di tale strumento non è in discesa. La tecnologia richiede standard armonizzati, infrastrutture sicure e una governance credibile. Uno dei nodi riguarda i cosiddetti livelli di garanzia (level of assurance) dell’identità digitale: se troppo bassi, il sistema rischia vulnerabilità; se troppo elevati, rendono l’accesso complesso e costoso. La Germania ha, ad esempio, spinto per l’equivalente digitale della carta d’identità con chip crittografico, ma ciò ha sollevato dubbi sull’interoperabilità con sistemi più leggeri come lo Spid italiano.
Dal punto di vista economico, si tratta di un’occasione significativa: secondo stime di mercato, il settore dell’identità digitale è destinato a crescere da 64,4 miliardi di dollari nel 2025 a 145,8 miliardi entro il 2030 a livello globale. Ma, al tempo stesso, le imprese dovranno dotarsi delle infrastrutture idonee, adeguare i sistemi interni e gestire i rischi legati alla sicurezza informatica e alla fiducia digitale. Il wallet aziendale richiederà autenticazione forte, deleghe tracciate, certificati digitali e protezioni robuste per evitare frodi e usi impropri.
La tutela della sicurezza digitale è prioritario: un sistema che gestisce l’identità legale di un’impresa deve assicurare che solo chi è realmente autorizzato possa agire per conto dell’organizzazione, prevenendo il rischio di usurpazioni, attacchi informatici o deleghe fraudolente. Il wallet dovrà, inoltre, essere interoperabile, rispettare la privacy, garantire un logging trasparente delle operazioni e mettere al centro la fiducia nell’ecosistema, richiedendo anche una valutazione del rischio.
In Italia, il progetto nazionale IT‑Wallet , realizzato dal Dipartimento per la trasformazione digitale in collaborazione con PagoPA S.p.A., servirà da piattaforma per il modello europeo e dovrà rendersi compatibile con gli standard comunitari. Il modello europeo dell’identità digitale per le imprese offre, dunque grandi promesse ma il successo dipenderà dalla capacità degli Stati membri di allinearsi, garantire la sicurezza e offrire un’esperienza utente fluida e affidabile.
