Le principali aziende tech hanno aumentato la loro spesa di lobbying in Europa del 55% in quattro anni, puntando a modellare il regolamento comunitario sull’intelligenza artificiale. Un confronto che mette in gioco la sovranità digitale dell’Unione
Nel panorama europeo della tecnologia e della regolamentazione, una verità appare sempre più evidente: le decisioni che plasmano il futuro digitale dell’Unione Europea non si prendono soltanto nei corridoi delle istituzioni, ma anche nelle stanze dove le lobby esercitano pressione. Un recente dossier di Corporate Europe Observatory e Lobby Control documenta come le spese delle Big Tech a Bruxelles siano salite da 97 milioni di euro nel 2021 a circa 151 milioni di euro nel 2025, un aumento del 55,6% in quattro anni e del 33,6% solo negli ultimi due.
Le aziende che sviluppano piattaforme, intelligenza artificiale e servizi digitali hanno l’interesse diretto a che le norme europee, come l’Ai Act e il Digital Services Act, siano flessibili e compatibili con i loro modelli di business. Il dossier segnala che queste aziende cercano “regole più morbide” e che orchestrano presenze – attraverso think tank, consulenti e lobbying – che influiscono sulle fasi decisive di definizione normativa.
Big Tech e politica, unione a doppio filo
Per l’Unione Europea, il rischio è duplice. Da una parte, c’è la sfida di garantire che la regolazione sia davvero indipendente e orientata all’interesse pubblico – protezione dei dati, trasparenza, tutela dei diritti digitali – e non definita dalle stesse imprese che regolerà. Dall’altra, c’è l’urgenza geopolitica: in un contesto dove Stati Uniti e Cina competono per la leadership tecnologica globale, la capacità dell’Ue di fare da “rule-maker”, mostrandosi decisiva per l’assetto globale, anziché “rule-taker”, con la necessità di sottostare a regole determinate da altri soggetti, diventa centrale.
Il dossier segnala, inoltre, che solo dieci grandi imprese, tra cui Meta Platforms, Microsoft, Apple e Amazon, rappresentano quasi un terzo della spesa totale di lobbying, e che nel solo primo semestre del 2025 si sono registrati oltre 146 incontri ufficiali tra Big Tech e la Commissione europea, oltre uno al giorno.
Questo livello di pressione ha effetti concreti: la definizione delle normative sull’Ai, dei principi etici, dei livelli di garanzia e delle modalità di accesso ai dati viene influenzata non solo dai tecnicismi, ma da un equilibrio di potere. Il regolatore comunitario, per parte sua, segnala che non intende sospendere l’attuazione dell’Ai Act, ma che il processo dovrà essere sorvegliato con attenzione perché la pressione esterna potrebbe indebolire gli obiettivi di tutela europea.
I 151 milioni spesi in lobbying dai colossi tecnologici sono un segnale eloquente: la sovranità digitale richiede consapevolezza, trasparenza e vigilanza. La partita per il futuro digitale dell’Europa, infatti, non si gioca solo sui meriti delle leggi o sulla qualità delle tecnologie, ma anche sulla capacità delle istituzioni di resistere alle influenze economiche e politiche.
